Interessante compilation che racchiude alcuni progetti musicali di Torino (la mia città) nati negli anni Ottanta, proseguiti e poi definitivamente scomparsi nei primi anni Novanta. I gruppi in questione sono i DsorDNE, Agonije e La Deviation/Motor Angel, più un ospite straniero di tutto rispetto come il belga Alain Neffe con uno dei suoi tanti progetti malati, ovvero Human Flesh. Tolto Marco Milanesio (leader dei DsorDNE) e oggi famoso produttore (leggasi Studio O.F.F.), degli altri non si hanno poi così tante notizie, solo qualche informazione in rete ma che sbiadiscono nella memoria. Non vi è bisogno di sottolinearlo, ma quetsta raccolta è una altra testimonianza di come la scena musicale sabauda sia stata tra le più fervide a livello sperimentale nel panorama italiano e non solo. Si va dalla elettronica minimale all'industrial, passando per una oscura darkwave (quasi) da nero cabaret.
I fiorentini Nicola Corti e Moon Ra, ovvero Maria Rosa Sarri (anche conosciuta con gli pseudonimi di Marie_e_le_Rose e MonoLogue) ci regalano questo lavoro basato sul concept del sonno. C'è spazio per lasciare andare la fantasia, ed infatti qui è sembrato di trovarsi di fronte Freddie Kruger che con le sue lame affilate si mette a suonare un propria versione di Blind Knives dei Last Few Days. Ha tutta l'aria di lasciare un segno nella corteccia cerebrale, anzi, dei veri e propri graffi su una vitrea scatola cranica. Questa gialla cassettina, esce per la marchigiana Arte Tetra, e nell'attesa che mi arrivi l'originale, abbiamo scritto queste poche righe, che spero vi piacciano.
Ebbene sì, ho chiuso gli occhi. Non volevo ascoltarlo prima dell’arrivo
del tape, ma purtroppo siamo curiosoni. Inquieta dark ambient, interstellare e
tagliente (Twilight Zone), una battaglia faccia a faccia tra l’alien di H.R.
Giger e la mia scorbutica micia, da una parte il mostro che sputa acido
bollente, dall’altro il felino che intende graffiarlo munita di artigli di
acciaio. Sì, peccato solo che questo scontro non potrà avvenire perché i due
contendenti sono separati da un trasparentissimo cristallo Swaroski. Poi vado
avanti ad ascoltare, ogni tanto apro gli occhi e mi sveglio sudato e con le
orecchie che rimbombano e lacrimano sangue. L’atmosfera è frizzante e
incandescente, ovviamente anche rumorosa, ma di quel noise che puzza di zolfo e
acciaieria, senti scorrere le colate di titanio fuso che bisbigliano messaggi
subliminali mentre ceramiche refrattarie vanno in frantumi e collidono con
diamanti tetragonali. Tanto, troppo caos (ma controllato), brodaglie blasfeme e
pozioni corrosive: è come se mister NWW avesse interagito con il meccanico concretismo
di Gregory Whitehead e lo stridulo rumore delle ganasce dei freni prodotte da
Chris Watson quando descrisse il turbolento viaggio del suo treno fantasma.
Buon ascolto: il botto di Natale è arrivato in anticipo!
Il signore che vedete in foto è un classe 1931, nato in Germania ma emigrato negli USA nel 1951, ora pare viva in Messico. L'album in questione è la rimasterizzazione di un vecchio lavoro e prevede cinque tracce live, quattro eseguite in America nel 1989 e una lunghissima (più di venti minuti) suite tenuta invece a Berlino. Robert Rutman, assieme al suo Steel Cello Ensemble, è un musicista/artista sui generis, infatti, le sue pubblicazioni musicali (che non sono molte) sono affascinanti poichè realizzate e incentrate sull'uso del suo particolarissimo violoncello in acciaio di sua costruzione.
- Steel Cello -
Certo, il suono prodotto non è proprio quello dello strumento classico, ma l'atmosfera è davvero intrigante. Per gli amanti del cello e per chi adora il drone metallico, insomma, per chi si entusuiasma con le sonorità malate e strambe. Buon ascolto!
... qui trovate l'originale scritto da me, spero sia una buona lettura e ascolto.
Grøn è Bjarke Rasmussen, danese e titolare dell’etichetta Infinite Waves. Ogni qualvolta penso alla Danimarca, immagino i paesaggi malinconici descritti dalle fiabe di Hans Christian Andersen, lo sguardo triste della sirenetta e l’imponenza industriale del ponte di Øresund; tutti aspetti che si avvertono nelle due tracce che compongono questa cassetta, rendendola così una sola unità e non un semplice assemblaggio di suoni, alla stessa maniera di come i numerosi viadotti uniscono le tante isole della sua nazione di provenienza. Noise astratto, a tratti siderale ma minimale nell’impostazione, sfumature eteree che si tuffano e interagiscono con zampilli e scrosci d’acqua, incorniciati a loro volta dalla triste poesia di note simili a quelle di un carillon che sta per terminare il proprio ciclo. Venti minuti scarsi di registrazioni ambientali (o domestiche) che alternano calde melodie a glaciali brezze marine, dove le incrostazioni e la ruggine che si sgretola da pilastri e travi si mescolano a drone sul punto di esplodere e a colate di lacrime che fuoriescono dalle venature di una gabbia marmorea. Indland è una giornata autunnale trascorsa sulle rive del mare del Nord, ascoltando i gabbiani e le onde adagiarsi sulla spiaggia sabbiosa, mentre raffiche di vento tumultuose ne squarciano la quiete. Non male, in linea con molti lavori e interpreti scandinavi e islandesi di questo genere. Un ascolto rilassante.
La tedesca Heike Vester, di professione non fa la musicista, bensì è una biologa, specializzata in bio-acustiche degli animali marini, ma è anche coordinatrice e fondatrice di Ocean Sounds.
Il disco Marine Mammals And Fish Of Lofoten And Vesterålen, di cui vedete la copertina con questa bella orca che sembra salutarci, esce per Gruenrekorder nel 2009 e tutti o quasi i ricavati del disco sono andati al WWF (il cd è esaurito, quindi bene).
Probabilmente non riuscirò mai a vedere una balena e sentire i loro canti... o lamenti, pazienza. Che dire, se vi piacciono i field-recordings, la natura e il mare, se volete, potete dare un ascolto e scaricarlo.
Il file è un WeTransfer, questo significa che tra sette giorni sparirà, o altrimenti potete sempre passare dalla etichetta e prendere visione del prodotto.
Noi lo presentiamo, poi fate voi se gradire oppure no: giovane compositore tedesco residente a Berlino. Delicatezza, delicatezza et ... delicatezza, misto a tristezza infinita.
... per favore, aiuto, fatelo smettere ... questa canzone è troppo lacrimevole per me.
Sto copiando per una persona amica, esattamente come si faceva negli anni Ottanta, una cassettina di Guanajuato, così mi è venuto in mente di postare l'articolo che ho scritto tempo fa per la webzine The New Noise, scritto con il quale ho esordito da quelle parti e che spero vi piaccia.
"No Art, No Musik,
No Kulture, No Perfect, No Message"
In una delle due
volte che mi trovai dalle parti di Orléans in Francia, mi recai – come in una
sorta di devoto pellegrinaggio – in Rue Coquille 6: indirizzo che ai più non
dice nulla, ma che è riportato in tutte le copertine delle produzioni di un
certo Claude Escarmand alias Stenka Bazin, di cui abbiamo perso le tracce sul
finire degli anni Ottanta.
Il campanello non
riportava alcun nome e avrei tanto voluto bussare, ciononostante la casa dava
la sensazione di essere tuttora abitata e viva. Nel frattempo – con andatura
lenta e sacchetti della spesa tra le mani – passava per lo stretto marciapiede
una donna anziana; gentilmente la fermai, e con il mio pessimo francese le
porsi questa domanda: “Scusi madame, monsieur Escarmand risiede ancora lì?”.
Ella mi rispose – con la solita cordialità delle persone di una certa età – che
qualcuno tuttora ci abitava, però non riuscì a dirmi se fosse la persona che
cercavo. Nel dirle grazie, e con lo sguardo più malinconico di quello che già
manifesto solitamente, mi allontanai, con la speranza, un giorno, di ritornare
in pellegrinaggio.
Strana cittadina
Orléans, misteriosa e apparentemente tranquilla. Le oscure presenze, che si
nascondono e aleggiano tra l’imponente cattedrale gotica, e i tortuosi vicoli e
vie che confluiscono e terminano sulla riva nord della Loira, avvolta da una
tetra e grigia caligine, la rendono ancor più inquietante. Curiosità, è
peraltro la stessa città di Giovanna D’Arco, la famosa pulzella che, prima che
la chiesa cattolica la facesse santa, fu in principio processata e bollata
com’eretica, per poi, infine, essere arsa viva nella vicina Rouen, in uno dei
tanti paradossi storici del sopraccitato culto religioso.
Sono queste caratteristiche – ereditate (forse) geneticamente dall’eroina
francese – sempre visionarie, schizofreniche, anarchiche e pazzoidi, che
contraddistinguono i lavori di Stenka Bazin dal resto dei progetti francesi
dell’epoca; quelli appartenenti alla corrente industrial-noise – meglio dire bruitisme,
altrimenti i galletti transalpini si offendono – come le urticanti e infernali
bordate noise degli Étant Donnés dei fratelli Hurtado, le religiose e raffinate
sfumature ambient di Christian Renou aka Brume e la materialità oggettiva del
rumore del metallico-industriale Vivenza.
Il nome Stenka
Bazin deriva – e non credo sia un caso – da Stepan Timofeevič Razin: una sorta
di Robin Hood russo di fine Seicento, uno dei pochi rivoluzionari che osò
andare contro la monarchia zarista dell’epoca, e causa tradimento trovò una
morte macabra, finendo per essere pubblicamente e brutalmente squartato. Ai
giorni nostri, ufficialmente, sono giunti solo nove dei suoi album, tutti
autoprodotti e in rigoroso formato audiocassetta, pubblicati presumibilmente
tra il 1984 e il 1987 attraverso la propria etichetta Émergence Du Refus: la
minuscola label che chiuderà i battenti da lì a poco con circa una trentina di
titoli, per lo più compilation, ma anche assolute gemme di culto, quali la
tenebrosa opera dark-ambient Transparency a nome Arnovah e Le Prix Du Péché di
Moïra XII, ovverosia l’inquietante progetto artistico/musicale creato da Veïdt
Mjölnïr (Le Syndicat), che vide la partecipazione dello stesso Claude Escarmand
in veste di featuring per due soli brani (“La Source” e “Renaissance”).
Dicevamo, nove
album deviati e malati; costruiti su suoni radicali e senza compromessi,
insomma: quella sorta di caos controllato e di brutale, personalissimo e
ricercato stile sonoro descritto perfettamente nella frase d’apertura, che
potete trovare all’interno del booklet di Survie. Proprio quest’ultimo
nastro – assieme ad Apartheid e Guanajuato – è sicuramente uno di quelli
più riusciti, se non altro perché era fornito con un’aspirina da 250mg, o forse
era 500mg; poco importa il dosaggio, infatti, fu subito consumata, poiché
curioso di scoprire gli effetti di un farmaco scaduto da quasi 25 anni (non è
vero, ma fui assai tentato).
Per chi
non ha orecchie allenate, Survie è il più – si fa per dire – ascoltabile;
ciononostante risulta caotico e psicotropo: un marcio conglomerato
d’angoscianti ed elettrici tappeti sintetico-minimal, squarciati da percussive
ritmiche technoidi di minuscoli pistoncini pneumatici, si scontra ciclicamente
e in modo asincrono con le pulsazioni del cuore, provocando così aritmia e
comunicando al cervello, attraverso il sistema nervoso centrale, di generare
immediatamente frequenze stabilizzatrici pronte a tagliare fuori quelle nocive
e disturbanti.
Una
mola abrasiva, un disco diamantato da taglio, un inferno metallurgico, invece,
è Apartheid. Venduto e affiancato dallo splendido artwork di ben otto pagine
color blu cobalto sfumante violaceo, e ricco d’illustrazioni – disegnate dallo
stesso Escarmand – al limite fra il perverso, l’erotico e l’inquietante,
Apartheid è quello che oggi definiremmo noise temporalesco: un ciclone
atmosferico della categoria più elevata, dalle tetre e blasfeme sfumature
dark-ambient; è musica distruttiva, quella che sconquassa il subconscio, quella
che tormenta e crea turbamenti nell’animo. Per farvi un esempio con qualcosa di
visivo, l’’immaginario sonoro è quello che si può trarre stando nelle immediate
vicinanze del cratere di gas di Darvaza, in Turkmenistan; cratere che brucia da
ben trent’anni e che viene altresì chiamato “La porta dell’inferno”.
Molto
probabilmente – anche se non è certezza – Guanajuato è l’ultimo lavoro di
Stenka Bazin, l’atto testamentario, nonché il vero capolavoro. Puzza di
putrefazione ed è viscerale. I succhi gastrici che ribollono per l’aumento
della temperatura e della pressione interna; le opprimenti, asfissianti e
tossiche atmosfere collidono con le forti turbolenze caustiche, provocando la
corrosione delle pareti refrattarie dello stomaco umano. L’ambiente si fa
sempre più acido e i liquidi corporei evaporano, mentre i tessuti molli si
vulcanizzano fino ad ottenere una sorta di mummificazione chimica. Le mummie –
ritratte peraltro nella splendida copertina – come ad indicare la morte, la
fine di un ciclo, l’immortalità sonora di Stenka Bazin? Può essere, infatti, è
una domanda che avrei voluto fare all’artista. Per la cronaca, il titolo di
questo disco proviene dalla cittadina messicana, appunto Guanajuato, famosa
appunto per le mummie di corpi umani, perfettamente conservate per merito
d’uniche e favorevoli condizioni ambientali.
Mercenaire è la
raccolta di quelle tracce sparse qua e la nelle varie compilation dell’epoca,
ivi comprese le due all’interno del disco di Moïra XII; ottimo per chi è pigro
e vuole saltare qualche passaggio, cominciando così a farsi una concreta idea
sonora sull’oscuro personaggio Stenka Bazin.
Conclusione: se
potessi farlo, chiederei a Saphi alias Nocturne se quel suo concetto di terrore
sonico, da lui stesso definito “Artschock”, affonda le radici su certe sonorità
vicine a Stenka Bazin. Nel mentre, è assai probabile che Claude Escarmand abbia
chiuso definitivamente con l’arte della musica; ed è molto strano che, oggi,
nell’era dei social network, usati quasi esclusivamente dalla popolazione
mondiale per un inutile cazzeggio, non si riescano a trovare due stralci di
righe, notizie di varia natura, dove abita, e se è soprattutto ancora vivo.
Qualche anno indietro feci delle ricerche nel web, e l’unica informazione che
riuscii a scovare fu che esiste un monsieur Escarmand, residente ad Orléans, e
che scrisse qualche anno fa un libro di poesie. Spero sia davvero lui, anche
perché non ce lo vedo vendere tappeti in Senegal.