24 dicembre 2016

HILDUR GUÐNADÓTTIR - Saman [Touch, 2014]

- Hildur Guðnadóttir -

Chiudiamo il 2016 riproponendo un mio vecchio articolo scritto su The New Noise: perchè la parola saman, in islandese, vuol dire insieme.

- Saman -

Quarto album in studio – sempre per la britannica Touch – per la graziosa e brava violoncellista islandese Hildur Guðnadóttir. Basta con l’inglese, questa volta la musicista decide di espellere definitivamente le proprie emozioni attraverso la lingua madre, come testimoniano i titoli delle dodici brevi tracce, nonché il titolo, “Saman”, che tradotto significa insieme.

Crepuscolare e infarcito di chiaroscuri (in verità più scuri che chiari), Saman forse racchiude e vuole raccontare una storia d’amore finita male, cercando disperatamente di scrostarsela di dosso. Per certi versi il violoncello suonato in questa maniera potrebbe ricordare alcuni passaggi inquieti stile Haxan Cloak del primo disco omonimo o Hermann Kopp, anche se in questi casi è il violino a farla da padrone. Per questo motivo a tratti suona tremendamente noir e lugubre (“Í Hring”), mettendo ansia e terrore, ma sono le struggenti parti vocali – “Heima” (casa) su tutte – a riportarlo sui binari più consoni, vale a dire lacrimevoli. Poesie leopardiane, cartoline sbiadite e nebbiose (“Þoka”, ovverosia nebbia), paesaggi autunnali, pioggia battente che somiglia a lacrime color sangue, marce foglie di salici piangenti che si staccano dalle pareti interne del cuore come fossero pezzetti di racconti tristi da seppellire, e petali di rose rosse che, trasportate dai sospiri, si adagiano dolcemente nel profondo dell’animo per lì rimanere in eterno.

Non ci va molto a capirlo, ci sono malinconia e tristezza da vendere in questo disco. È commovente e profondo, insomma, quei tipici suoni caldi che da queste parti etichettiamo con la solita frase: l’inquieto che quieta.


... buona lettura et buon ascolto!

17 dicembre 2016

GOPOTA - Music For Primitive [Luce Sia, 2016]

- Music For Primitive -

Gopota è un termine che deriva dallo slang russo e che fa riferimento a coloro che risiedono tra gli strati sociali più bassi, però è soprattutto il duo composto da Antonio Airoldi (già Empty Chalice) e Vitaly Maklakov (EVP), che si è scelto proprio lo pseudonimo adatto: sarà mica derivante da quel fenomeno inspiegabile relativo alle misteriose registrazioni di voci elettroniche (Electronic Voice Phenomena)?

Missione Gopota 2016: dalla Russia (Knots Of Fear, Torga Amun) alla Svizzera (Music For Primitive, Luce Sia). In effetti sembra davvero il titolo di un film Bond 007, peccato che lo spionaggio lascia il campo all'horror e l'azione si annulla definitivamente sottoforma di stretto serraggio di catene insanguinate e confinamento nella più buia segreta di una abazzia medievale maledetta, abbandonata e occupata da violacei e malvagi spettri. 
Dunque vietato l'ingresso? Ma neanche per sogno, è proprio tra queste sonorità - quelle contaminate da putrida dark-ambient (quella nebbiosa e rituale costruita coi candelabri e l'argenteria ossidata da secoli) e corrosivo death-industrial (quello maleodorante e tossico come l'anidride solforosa) - che troviamo terreno fertile per buttare (quasi) sempre due righe, veloci ma (spero) con cognizione. 
Prendete la sublime suite finale Empty Eye: è come se i più orrendi e tenebrosi Gargoyle delle cattedrali normanne fossero gli spietati custodi che regolano l'oscurità e le opprimenti atmosfere di uno sperduto impianto petrolchimico delle Fiandre. È più che evidente che Music For Primitive ha una morfologia sonora incentrata su profondi abissi, ossari sconsacrati, decomposizione, serrature a doppia mandata, ruggine, desolazione, pestilenza e Morte: una sorta di malefica liturgia dalle radici latine e dagli spigoli gotici, che di riflesso rimanda a torture, inquisizione, caccia alle streghe e riti alchemici.

Vi state chiedendo se mi è piaciuto, vero? Rispondo che si capisce lontano un miglio che è un lavoro fortemente ricercato nei suoni e che ha richiesto molto tempo per dargli quella granitica e inquietante struttura scandita da respiri affannosi, ansia e malessere sociale, ma del resto se la cult-label Luce Sia (che sprovveduti non sono) li ha scelti per entrare a far parte del loro catologo un motivo c'è. Per quel che mi riguarda, anche stavolta sono riuscito a fare un breve articolo senza fare paragoni con altri dischi o illustri nomi (non è vero, a volte purtroppo ci casco), ma se siete capaci di leggere fra le righe, allora troverete quello che vi serve e probabilmente avrete la vera risposta.

PHILIPPE LAMY & MONOLOGUE - Blu Deux [Phinery, 2016]

- Blu Deux -

Non è la stessa cosa, molti dettagli si perdono. Odio scrivere ascoltando da un file o, come in questo caso, direttamente dalla pagina bandcamp della meravigliosa etichetta danese Phinery. Per cui non vediamo il momento di avere tra le mani quel maledetto feticcio anni Ottanta e che qui amiamo davvero tanto, ovvero l'audiocassetta, così nell'eventualità di aver scritto delle cavolate, dopo, si può sempre rimediare. Eh già, preferiamo l'ascolto derivante dall'oggetto fisico perchè dietro c'è tutto un rituale che parte dal pigiare il tasto play fino ad arrivare a sentire l'odore della cover e del nastro magnetico... oltre al fatto che ci ricorda molte storielle d'infanzia.

Non ci è dato sapere se Blu Deux è uno split o una semplice collaborazione con il francese di Tolosa Philippe Lamy; di certo, qualunque cosa esso sia, possiamo solo constatare che è un'altra operazione ben riuscita per la polistrumentista e musicoterapeuta - sempre meglio ricordare queste info - fiorentina Maria Rosa Sarri, questa volta con lo pseudonimo MonoLogue.
Considero il glitch una sonorità quasi glaciale, una sorta di rumore che si genera all'interno di minuscoli cristalli di ghiaccio quando i loro atomi vengono fatti vibrare da elevate e istantanee fonti di calore fino ad esplodere. Diciamo che è un lavoro che non scalda i cuori o gli animi, o meglio, non in quel senso, e mi riferisco ad esempio al brano Chiudi gli occhi e guardami, ma se il risultato è quello di criogenizzare i muscoli e le emozioni attraverso bruciature da contatto con gelidi metalli dopo essere stati immersi in azoto liquido, allora la missione è andata a buon fine. Il glitch spesso da l'impressione di essere caotico, suoni buttati lì per gioco, qui invece ha sempre una sua regolarità, nonostante in Les Yeux De Mezzanotte ho avuto la senszione di trovarmi rinchiuso dentro una sfera di cristallo pronta ad esplodere a causa di violente mazzate mentali.
Qui si mescolano e intersecano varie sfumature, a volte è asettico come una sala operatoria, altre è gelida come l'atmosfera di una astronave alla deriva, e prossima a varcare l'ingrezzo di un profondo buco nero galattico, e a volte si ha perfino la percezione di qualche flebile rintocco di campane e organi di cattedrali gotiche (Dessert).
Meno male che i frattali, i calcoli logaritmici e le curve elettrificate di Hours D’oeuvre trasmettono i giusti impulsi neuronali alla materia grigia, permettendo così un facile ingresso a questo alienante viaggio coast to coast fra microchip, altrimenti non riusciremmo a definire Tout Est Blu come un mélange fra l'istrionismo Nurse With Wound e i cocci di vetro rotti di Gregory Whithehead, o Prime Parole, Dernière Pensée considerala come l'unica traccia noise: esplosiva e abrasiva, una sorta di industrial rallentato, qualcosa tipo Annex Organon degli Aufgehoben.

Diciamolo subito, per i non avvezzi a queste sonorità Blu Deux può sembrare urticante, ma se prima ascoltate The Twilight Tone di Moon Ra - finora l'unico lavoro di Marie_e_le_Rose con cui il condominio è stato messo in seria difficoltà - allora sarete più allenati alle numerose variazioni sul tema della nostra artista italiana, il che è positivo, perchè così ci da modo di scrivere 'in modo diverso'. Tuttavia non significa che è un ascolto facile, ma non è nemmeno una tortura; sì, perchè i suoni, soprattutto quelli che fanno da tappeto, sono ultra rarefatti, talvolta perfino impercettibili che ecco giustificato il trademark di tutte le sue produzioni: for a better performance we recommend listening with a great pair of headphones!

Come al solito ottima la scelta della cover. Andando a ritroso troviamo Giuseppe Cordaro aka Con_Cetta, Nicola Corti, Giulio Aldinuci e ora Philippe Lamy, per cui la domanda è spontanea: a quando una collaborazione tutta al femminile?

16 dicembre 2016

SKAG ARCADE (The Look Of Silence), MEANWHILE.IN.TEXAS (Twin God Fragments) - [Orb Tapes, 2016]

- meanwhile.in texas & Skag Arcade -

... e siamo ancora qui, con questo inutile blog, che faticosamente continua ad essere attivo. Già, ma la colpa non è nostra se c'è gente che tira fuori robette davvero niente male, come nel caso di Paolo Colavita aka Skag Arcade e Angelo Guido alias meanwhile.in.texas.
Perchè un post unico? Perchè dopo l'entusiasmante Fernweh - che consiglio di acquistare immediatamente, tra i miei migliori ascolti di questo anno - pare viaggino musicalmente assieme, dalle uscite per la spagnola Craneal Fracture arrivando alla americana Orb Tapes, susseguendosi perfino nel catalogo. Ricordando che entrambe le release sono in audiocassetta e in edizione, ovviamente, limitata, cominciamo a scrivere due righe con quella temporaneamente uscita prima, ovvero:

Skag Arcade - The Look Of Silence

- The Look Of Silence -

Ricordando che la realizzazione di questo lavoro prende ispirazione da tutte quelle forme di governi totalitari ed in special modo quello cambogiano di Pol Pot. Visto il concept è (quasi) d'obbligo aspettarsi tanti minuti di sonorità violente e brutali, invece, è molto riflessivo, specialmente nella lunga traccia titolo. Sì, certo, qualche escoriazione o bruciatura dovuta al passaggio interno di scariche elettriche, forse cercando di voler riproporre/immaginando gli abusi fisici o torture psichiche di coloro che in quel paese fossero contari al regime. Tracce di musique concréte e di spray insetticida alla Dave Phillips e SPK (vedi Insect Musicians) servono da contraltare per Choeung Ek Pickup, per farvi capire meglio: è come se il brano Coitus dei Whitehouse amplificasse le turbolenze metereologiche e geomagnetiche imprigionate nell'album Weather Report del maestro dei field-recordings Chris Watson.
Esclusa la traccia finale, che risuona come una sorta di mesto requiem (che non è mai una cosa brutta da queste parti), il resto naviga su inquietanti e abissali oceani dark-ambient che all'improvviso, come forti mareggiate in burrasca, collidono come fossero invalicabili tsunami post-industriali, su piattaforme petrolifere abbandonate da decenni e corrose dalla salsedine marina, dando sfogo a deflagrazioni atomiche e rumorismi di ferramenta in frantumi.


meanwhile.in.texas - Twin God Fragments

 - Twin God Fragments -

Abbiamo chiuso gli occhi e lasciato andare che le vibrazioni  invadessero il violaceo condominio. Ottime sensazioni, perfino Maja (la mia piccola micia) si è abbandonata tra le nostre braccine, ed è cosa rara.
Provo a indovinare, con la consapevolezza che tanto non ci prendo mai, per cui sottolineamo che quel drone-ambient etereo/fiabesco dalla matrice oltremodo nostalgica del precedente Take Black Pills, ha preso una forma gotica e una sostanza siderurgica. Cercherò di farvi una istantanea dell'immagine che ho avuto in testa durante questo ascolto: è come trovarsi all'interno di una diroccata cattedrale, a sua volta inglobata in una fatiscente e oleosa raffineria (post-industrial?) del Texas, mentre radioattive folate di noise abrasivo veicolano minacciose nubi formate da un concentrato di pulviscolo di carbonio amorfo che, fuoriuscendo da inquetanti vetrate e percorrendo le navate, finiscono per avvolgerti e strangolarti come un serpentone arruginito di filo spinato. Abbastanza chiaro, oppure no?


Vale sempre la regola: supporto e buon ascolto!

3 dicembre 2016

CHICALOYOH - Derrière La Porte Cassé [Stoned To Death, 2016]

- Derrière la porte cassé -

Certo che Alice Dourlen alias Chicaloyoh, non finisce mai di sorprenderci. 
Dai casalinghi esordi, quelli sconfusionati e un tantino folli - nel senso buono del termine - registrati all'interno del proprio 'Garden shed', arriviamo a queste composizioni live dall'andamento malato e oltremodo rituale.
Derrière la porte cassé è la registrazione di una sua performance tenuta in quel di Bradford il 6 aprile 2016 e qui presentato sottoforma di tape artigianale rilasciato dalla etichetta ceca Stoned To Death in tiratura limitata a solo 80 copie. 
La glitterata poetica dello stupefacente 'Paroles Creuses' e quel drone oscuro ed etereo di alcune uscite precedenti, in particolar modo 'Evaporation Of Widows' (vedi Lente éclosion), vengono qui inglobate e distorte formando un nuovo percorso mistico-rituale strutturato su geometrie alienanti che finiscono per entrare di prepotenza in quei circuiti neuronali che regolano le funzioni oniriche; sì, però solo quelle che inquietano i condomini mentali durante le ore notturne.
Ascoltando questo live - che spero un giorno di assistere personalmente, magari nella mia città di Torino - mi sono balzate in mente queste tetre parole scritte da Michail Bulgakov e tratte dal breve romanzo 'Cuore di cane'; eh già, proprio perchè 'dietro questa porta rotta' si potrebbe nascondere qualsiasi cosa:
il cane assisteva a uno spettacolo orrendo. L'uomo importante immergeva le mani, coperte da quei suoi guanti viscidi, in un vaso, e ne estreva un cervello... 


... ottima la scelta del colore viola per il nastro, e ovviamente: buon ascolto!

27 novembre 2016

THE HAXAN CLOAK - Observatory [Aurora Borealis, 2011]

- Observatory -

... da un mio vecchio breve scritto per OndaRock.

"Observatory" è un breve Ep composto di solo due tracce ("Observatory", "Hounfour"), e anticipa lo strepitoso album di debutto di qualche mese. Uscito originariamente a fine 2010 in trentuno copie e sotto forma di cassetta, l'etichetta Aurora Borealis lo ripresenta nel 2011 in vinile, limitato a duecento esemplari.
In quest'Ep Bobby Krlic - alias Haxan Cloak - mette da parte l'abituale strumentazione e in particolar modo il violino che ha dato al full lenght il suo tocco avanguardistico, per dedicarsi esclusivamente all'elettronica.
La traccia "Observatory", con i suoi tribali, incalzanti e sintetici loop circolari, martella il neurone producendo un effetto psichedelico e allucinatorio: luce soffusa ed occhi chiusi sono i mezzi che spingono la testa a seguire, tramite impercettibili movimenti ondulatori, questa trascinante ed ipnotica armonia. "Hounfour", invece, è un brano più riflessivo, fatto di sfumature new age e suoni sintetici, rarefatti e nebbiosi: con l'aiuto di un po' di ghiaccio secco, il giusto mix per creare la perfetta e sognante atmosfera. Il ragazzo sembra saperci fare anche con queste sonorità; assolutamente da non perdere di vista.


13 novembre 2016

PATRIZIA OLIVA - Live At Fluc, Wien [Dokuro, 2011]

- Live at Fluc, Wien -

Agli esordi di OndaRock scrissi questo breve articolo, che poi fu inserito nel secondo ed ultimo capitolo - interamente sviluppato e concepito dal condominio HgM - intitolato "Edizioni Limitate".

Dietro il moniker di Madame P. c'è Patrizia Oliva. Numerose collaborazioni artistiche rientrano nel suo curriculum: su tutti, il guru mondiale della scena industrial Maurizio Bianchi, con il quale nel 2010 scaturì l'album "Invocalizations". Recentemente Patrizia Oliva è stata avvistata nel progetto a più menti e mani denominato Carver, a cui prestava voci e manipolazioni elettroniche.
Patrizia svolge e crea il suo lavoro in solitario: voce come strumento musicale principale; come contorno una grande varietà di strumentazione elettronica (loop station, dittafono, sintetizzatori, etc).
La migliore occasione per apprezzare la sua musica è attraverso i live set, e questo mini cd-r dal titolo "Live At Fluc, Wien" - solo sessanta copie pubblicate per la Dokuro - ne è la testimonianza diretta.
Poco meno di venti minuti di splendidi vocalizzi al limite dell'ultrasonoro, chiare reminescenze arabeggianti, urla di possessioni demoniache che si alternano a lancinanti grida di dolore in una sorta di rito voodoo. Il tutto si contrappone, nella parte finale del brano, a ninna nanne sensuali, ipnotiche, da bambina, che culminano con la meritata estasi.
Patrizia Oliva - alias Madame P - è la regina italiana dei vocalizzi estremi.


Buona lettura et ascolto! 

8 novembre 2016

JUNKO & SACHIKO - Vasilisa The Beautiful [Musik Atlach, 2015]

- Vasilisa The Beautiful -

... et vabbè, era tanto che non tornavamo a parlare del gioiellino nipponico Sachiko, questa volta in coppia con la storica Junko. Vi lascio un mio vecchio scritto recensito sulla webzine The New Noise.
Buona lettura e... buon ascolto!

… la palizzata intorno alla casa era fatta di ossa umane,
    sulle quali poggiavano dei teschi…
    Vasilisa impietrì per il terrore, stordita da quella visione.

da “Vasilisa la bella”

L’amore morboso per Sachiko va oltre qualsiasi forma d’immaginazione. Tutto nasce da un viaggio estivo in cruccolandia. Mi trovavo ad Aquisgrana, l’odierna Aachen, antica capitale del Sacro Romano Impero di Carlo Magno (e così abbiamo fatto anche un ripasso di storia). Non troppo distante dalla cattedrale c’era un piccolo mercatino dell’usato. Soffermandomi su di una bancarella che vendeva articoli musicali, rimasi incuriosito da un’edizione speciale degli Ace Of Base e impietrito per via di un cd dal nerissimo artwork e dal misterioso titolo: Prithivi Mandragoire (2007) delle Vava Kitora. Eh già, galeotto fu quel disco.

Questa è storia antica, quella moderna dice che la Musik Atlach ha appena rilasciato la registrazione di un live, tenuto presso lo Yellow Vision di Tokyo nel maggio 2014, fra Sachiko e Junko (storica performer vocale degli Hijokaidan), intitolato Vasilisa The Beautiful, come la fiaba del russo Alexandr Afanasyev. Come suggerisce la copertina, siamo di fronte a un intreccio di finissimi merletti, costruiti sulla base drone granitica e inquieta di Sachiko, che al tempo stesso si diverte a manipolare lo scream tagliente della compagna Junko, mescolandolo al proprio: un po’ come ritrovarsi in mezzo a una tempesta di sabbia, schivando schegge impazzite di cocci di bottiglia modellati dal caldo vento del deserto, mentre frastornanti rumori di scontri fra dune s’infrangono ciclicamente nei timpani. Che l’ugola di Junko fosse disturbante si sapeva (ultimamente l’abbiamo anche sentita nel disco di Rudolf Eb.er), ma qui la lancetta dei decibel raggiunge vette ciclistiche da hors catégorie. Non vi è un attimo di tregua, tranne che per un breve istante al ventesimo minuto, dove prende un pochino di fiato e lascia lo spazio all’inquieto drone orchestrato dal fiore di loto Sachiko. Sono trentatre minuti di stordimento sensoriale, devastazione sonica, esplosioni elettriche e creazioni biomolecolari.

Vent’anni fa non sarei manco arrivato al primo minuto, oggi, con smisurato interesse, sono riuscito nell’impresa di ascoltarlo due volte di fila, ma non senza danni auricolari. Oh sì, una volta tolte le cuffie, mi è sembrato di rivivere gli stessi problemi di equilibrio dovuti a quando mi ammalai di labirintite. Perciò: estrema cautela.


5 novembre 2016

MARE DI DIRAC - Untitled [Autoproduzione, forse 2008]

- Mare Di Dirac -

... Noi abbiamo visto il vuoto dove non c'era, perché siamo il Non Vuoto...

... eh! ormai il violaceo condominio si sta facendo vecchio e la memoria lo sta abbandonando, però ricordiamo ancora come siamo venuti in possesso di questo gioiellino, ovvero circa cinque o sei anni fa attraverso uno scambio di marciume nascosto con un tizio romano, che più avanti son venuto a sapere essere colui che si cela dietro il progetto Caligine
(ma questa è un'altra storia).

Per la cronaca non sapevo nulla di Mare Di Dirac e di quante persone fosse composto (oggi sappiamo essere Lorenzo Abattoir aka Nascita-Ri e Poseitrone), ma come nella straganza maggioranza di tutto quello che compriamo in ambito musicale e non solo, mi affido sempre all'istinto, per cui siamo stati attratti, in primis, dal nome, poi, dal confezionamento artigianale in cui è sigillato questo marcio e decadente cdr limitato a solo 30 copie... e comunque, preferiamo possedere una di queste copie nascoste (parola adattisma al soggetto che vi scrive queste poche righe) che averne una dall'altisonante nome.

Per uno che adora le sfumature metalliche post-industriali alla Cranioclast, offuscate (nel senso buono) da funeste e sulfuree nebbie rituali tipiche Zero Kama, le sonorità di questo debutto (datato non si sa quale anno ma sappiamo che il progetto nasce intorno al 2008) fa proprio al caso nostro, come dire: una pulitura elettrolitica dei neuroni  di una ipotetica lega d'acciaio a base cobalto (ipotizzando sempre che anche un gelido blocco di metallo abbia un cervello e un'anima), attraverso un attacco anodico continuo sulla medesima, che assumerà le caratteristiche di una forma altamente corrosiva, provocando lo sgretolamento macroscopico del tetraesagonale cristallino superficiale: non sappiamo che significa, ma è quello che ci passa per la testolina, sempre più malata, riprendendo e riascoltando ogni volta le cinque tracce del disco.

In quest'ultimo periodo ci dice bene, infatti siamo riusciti a vedere dal vivo Abattoir coinvolto in altre performance e progetti, ma mai con Mare Di Dirac: che sia questa la volta buona? Vedremo...


Buon ascolto!

25 ottobre 2016

HARAAM - The Sacrifice Of Will [Yerevan Tapes, 2016]

- The Sacrifice Of Will -

Haraam - ovvero il solo project del danese Martin Schacke - ci piace assai, e personalmente sono contento che sia finito nel catalogo della Yerevan Tapes. 
Questo perchè trovo azzeccata la sua proposta di infarcire e glassare quella estraniante forma di noise velandola con profumi e misticismi tipici del medio-oriente all'interno del percorso di viaggio sulla via sella seta intrapreso qualche anno fa dalla etichetta italiana.
Ascoltando lavori come questo The Sacrifice Of Will, saturi di elettricità statica e distorsioni biomolecolari, si ha come l'impressione di trovarsi a fumare foglie secche di gelsomino in un diroccato complesso siderurgico all'interno dell'Anatolia, immaginando di avere tra le mani non un classico narghilè bensì una marcia e carbonizzata ciminera dalla quale continuano ancora ad uscire fumi tossici. D'altronde il prodotto Haraam è una sorta di techno-industrial di matrice etnica, oppure mi sto sbagliando anche stavolta? Comunque sia, questo è il suono che avrei voluto ascoltare dai Ministry dopo Filth Pig (1996), anziché orientarsi verso una scadente e banale deriva metal.


Tra le cose migliori di questo 2016, acquisto conisgliato. 
Buon ascolto!

9 ottobre 2016

La faccia nascosta del pianeta Lustmord

 - Lustmord -

« Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis.
Oro supplex et acclinis,
cor contritum quasi cinis,
gere curam mei finis »

Lo so, vi state domandando perché come apertura ci sia un estratto del Requiem di Tommaso da Celano, musicato peraltro magistralmente dal grande Mozart. Ero giovane quando vidi per la prima volta il film Amadeus (1984) di Milos Forman, non sono qui a manifestare la grandiosità della pellicola, non posseggo le credenziali, ma la sequenza, in cui sentii le note e le parole del Confutatis, mi rimase subito impressa nella memoria. È traumatizzante ascoltarle ancora oggi, e chissà, chi può saperlo, forse son servite da flusso canalizzatore, indirizzando gli ascolti futuri verso quei generi dal fare oscuro e malinconico.

Sì, ok, ma che c’azzecca con il genere musicale di cui Lustmord oggi è una delle autorità mondiali in assoluto? Ecco spiegato: a distanza di molti anni e con l’orecchio (forse) leggermente più allenato, trovo che non sia poi così scandaloso collocare la data di nascita del dark-ambient con quel breve ma intenso passaggio. Però sono una cattiva persona, e siccome non riuscirei mai a scrivere una amplia antologia sulla discografia del gallese Brian Williams (vero nome di Lustmord), cercherò di trattare solamente un determinato periodo della sua attività artistica. La faccia nascosta del pianeta Lustmord è quel periodo che va 1992 al 1994, quello che non ha nulla a che vedere con quell’opprimente sonorità, quegli anni racchiusi fra il monolite Heresy (1990) e il monumentale Stalker (1995), quest’ultimo in collaborazione con Robert Rich.

Lustmord è la moderna dark-ambient? Ovvio, non ci sono dubbi, tant’è che per molti artisti è tuttora fonte d’ispirazione. Ma lui non è solo dark e ambient uniti assieme da un minuscolo trattino, non è un artista monotematico, anzi, forse è meglio ricordare il suo breve trascorso negli australiani SPK e la collaborazione con John Balance (Coil) nell’album A Document Of Early Acoustic & Tactical Experimentation, e il titolo dice tutto. Ed è attraverso questo bagaglio sperimentale, industrial e noise, che nell’arco di soli tre anni, rilascia altrettanti affascinanti lavori, e ognuno diverso dall’altro, ed eccoli proposti in rigoroso ordine cronologico.

TERROR AGAINST TERROR – Psychological Warfare Technology Systems [1992]


Le avvisaglie si erano già percepite qualche anno prima con un progetto electro-industrial chiamato T.G.T. (The Genetic Terrorists), che includeva Cosey Fanni Tutti e Chris Carter (entrambi ex Throbbing Gristle) e che, per imprecisati motivi, non proseguì, restando nella memoria con pochi singoli pubblicati per la rinomata Wax Trax. Poco importa si sarà detto, persi due artisti, anche se di spessore, rivolge l’attenzione su Andrew Lagowski, storico performer della synth-darkwave band Nagamatzu. Così, nel 1992, contemporaneamente nasce Terror Against Terror e la relativa prima uscita per la tedesca Paragoric (sublabel della Dark Vinyl), finora mai più ristampata. Erano gli anni a cavallo fra gli Ottanta e Novanta, tempi d’oro per l’electro-industrial e l’ebm; la scena belga e olandese che fronteggia quella del nuovo continente, soprattutto canadese, in altre parole la parte più danzereccia (che non s’intenda in modo riduttivo) che sfida quella concettuale, insomma: i Front 242 che guardano in malo modo i Front Line Assembly, e viceversa. A questo punto non è una casualità se in questo periodo e con queste traiettorie emergono e si consolidano gruppi come i Nine Inch Nails o Suicide Commando. Psychological Warfare Technology Systems è il fatidico anello di congiunzione, quello che suona innovativo ma che al tempo stesso faccia danzare sulle piste e nelle gabbie muniti di maschere antigas e occhiali da saldatore. L’album ha movimenti di stampo bellico e istinti rivoltosi, a cominciare da By Any Means Necessary e proseguendo con Hunter Killer che, tra sirene, pistolettate, vomiti e fiumi alcolici ti scaraventa nella prima fila di una corsa automobilistica tenuta dentro il recinto di una fabbrica siderurgica sotterranea. Movenze epilettiche e urlacci synth-punk sparsi un po’ in giro si uniscono raggiungendo l’apice con la lentezza psicotica e il terrore acido di (Psychological Warfare), le atmosfere post-atomiche e la corrosione termonucleare di Stalker (la mia preferita), ai rimasugli anarchici post-industriali associati a idee di distruzione di massa di Destroidmonster, all’odore del sangue coagulato e, infine, al suono delle frustate batteriologiche di Mutually Assured Destruction: dont’ be afraid!


ISOLRUBIN BK – Crash Injury Trauma [1993]


Concepito e prodotto nel 1992 (engineer sempre il nostro Lagowski), Crash Injury Trauma esce sugli scaffali l’anno successivo per merito della Soleilmoon, che lo ristamperà poi nel 2009. Album concettuale, come un po’ tutti del resto, prende ispirazione da fatti accaduti e testi descrittivi relativi ad investigazioni scientifiche e probabili cause dalle quali ne sono derivati gravi incidenti automobilistici. Noise, industrial e musique concrète che si fondono assieme per una sorta di meticolosa indagine stile CSI suddivisa in tre fasi: il punto d’impatto e il danno materiale (Crash), l’analisi e tutte le ipotesi susseguenti, perfino quelle complottistiche (Injury) e la morte tragica e sanguinolenta dell’individuo/guidatore (Trauma). I titoli stessi confermano che si tratta di un lavoro violento come concept ma con sonorità dagli effetti antibiotici, tanto che la (trasparente) aggressività dei brani - mescolata con spoken radiofonici e dibattiti televisivi – finisce per sfociare in alcuni passaggi ibridi fra idm e post-industrial di matrice tedesca; per cui, tra una sgommata sull’asfalto, una frenata improvvisa, autoambulanze che sfrecciano sulle highway, cinture di sicurezza che saltano come fossero corde tese di un violino, airbag che esplodono, parabrezza in frantumi, i rumori delle molature dei pompieri che cercano di trovare un varco tra le lamiere accartocciate e le diagnosi di paramedici incompetenti, il disco corre lungo un binario, articolato e strutturato per evidenziare la pericolosità dell’automezzo, evitando il rischio di procurarci fratture craniche, arti smembrati e budella spappolate.


ARECIBO – Trans Plutonian Transmissions [1994]


Certo che facendo la sommatoria fra il nome (Arecibo è l’osservatorio astronomico situato in quel di Porto Rico) e i titoli (le sigle di alcune nebulose e le trasmissioni sonore provenienti oltre il sistema solare), potremmo chiudere con queste poche righe, perché è ben chiaro di quale tipologia di sonorità trattasi: space-ambient siderale e transplutoniana. La componente essenziale per questo genere è che si avverta quella sensazione di nulla, di infinito, di profondità e di fantascienza. Nessun problema, qui si va oltre quella invisibile energia oscura che regola le dimensioni spazio-tempo permettendo l’espansione dell’universo. Più gli anni luce aumentano e più il freddo pungente avvolge con uno spesso strato di ghiaccio l’astronave (M87) e la fantascienza si trasforma in terrore alieno e inquietudine intergalattica (3C147), a tal punto da far rivivere gli attimi finali del libro Alien di Alan Dean Foster: carbonizzato, l’alieno si allontanò dalla navicella, e nell’attimo in cui si staccò, l’acido smise di sgorgare. Anomale intermittenze di raggi gamma espulse da lontanissime quasar, rimembranze cosmiche che annunciano una imminente catastrofe (NGC 5417), pulsanti e minacciosi linguaggi rettiliani da decifrare (3C925), drone incandescente e sulfureo proveniente da razzi motori prossimi al collasso (NGC 5128), traiettorie ellittiche di asteroidi e micro collisioni dark-ambient (NGC 5426). Trans Plutonian Transmissions (ristampato nel 2009 dalla Soleilmoon) si avvale di sorgenti o registrazioni sonore derivanti da radiazioni termiche, pulsar, supernove, interazioni di particelle elettriche e altro, catturate dal Jet Propulsion Laboratory della NASA. Paradossalmente è l’unico disco del trittico che non vede la collaborazione di Andrew Lagowski, che strano... però, chi mi dice che proprio il progetto S.E.T.I. non sia nato durante la realizzazione di questo disco?


Conclusione: sembrerebbe essere stata una parentesi, visto che questo periodo semi-nascosto non si è più ripetuto negli anni. Sta di fatto che Lustmord, incide e lascia nella discografia mondiale tre macigni totalmente differenti dalle opere per le quali lo conosciamo, testimoniando (ma non vi è bisogno) la propria versatilità e disinvoltura nell’affrontare altri aspetti/spettri sonori. Tre album notevoli, ma se devo sceglierne uno da consigliare, eh beh, per ragioni legate ad un periodo frivolo e giovanile, non ho dubbi: Psychological Warfare Technology Systems è altamente sopra le righe… ancora oggi, avendo alle spalle più di quattro lustri.

4 settembre 2016

OLE PETTER SØRUM - Morgenrøde O.S.T. [Avantgarde, 2016]

- Morgenrøde -

La mia fortuna è che, tra quelle poche persone che conosco, ci sono davvero dei buoni intenditori di musica, nonchè film, come in questo caso.


Morgenrøde (ovvero in italiano Alba) è la splendida colonna sonora che Ole Petter Sørum ha realizzato per l'omonimo lungometrggio del norvegese Anders Elsrud Hultgreen uscito nel 2014.
Film del filone post-apocalittico, due soli personaggi, pressoché nulli i dialoghi, ma soprattutto tanta presenza di spiritualità nebbiosa e tossica.


Per certi versi, intendo quel percorso mistico/rituale e i paesaggi, mi ha ricordato il film Valhalla Rising (2009) di Nicolas Winding Refn. Paesaggi sempre oscuri, anzi, neri (ci piacerebbe sapere dove sono geolocalizzati) che si sposano a perfezione con la mesta soundtrack drone/dark-ambient che accompagna questo viaggio di poco più di un'ora di pellicola.


Ci siamo - come al solito - arrivati dopo, ma l'importante è arrivarci.
Buon ascolto... et visione!

20 agosto 2016

HALO MANASH - Elemental Live Forms MMV - Initiation [Aural Hypnox, 2016]

- Elemental Live Forms MMV, Initiation -

Straordinaria ultima fatica del collettivo finlandese Halo Manash, corredata come, al solito,
dal meraviglioso artwork prodotto dalla Aural Hypnox.
Brevi ma intensi rituali live di iniziazione che fuoriescono da impenetrabili grigie foschie come fossero onde ultrsonore che viaggiano nella galassia verso nuovi oltreversi, sorrette e trasportate da quella misteriosa materia oscura sprigionata nel primo esplosivo atto di creazione universale.
Si manifestano infinite come le profondità abissali della Via Lattea e gelide come il metallo delle lamiere di una astronave che naviga alla deriva nel proprio percorso interstellare alla ricerca di una fonte di conoscenza aliena, o divina, alla quale non riesce ancora a dare un nome.

19 agosto 2016

MEANWHILE.IN.TEXAS - Take Black Pills [Triple Moon, 2016]

- Take Black Pills -

Una cosa è certa, le poste peruviane sono assai lunghe dal momento che sto aspettando un ordine da circa due mesi, mentre quelle transalpine sono assi rapide, infatti, questo cdr (ben confezionato) mi è pervenuto in soli due giorni, et vabbè...

Cominciamo nel dire che dietro il nome Meanwhile.In.Texas - nome fighissimo, anche se ancora non ho capito da cosa deriva - si nasconde il salentino Angelo Guido, alcuni dei quali, anzi, spero in molti, si ricorderanno della strepitosa collaborazione con Paolo Colavita alias Skag Arcade attraverso Fernweh: audiocassetta limitata pubblicata dall'ottima Luce Sia.

Parole buttate così, senza nessun appunto, alla veloce e probabilmente senza alcun senso logico, ma questo è il frutto o costo dello scrivere mentre lo stereo è in modalità loop
Take black pills è come l'immagine di copertina, ovvero lo smisurato orizzonte, l'infinito da cui prendono forme le cicliche onde del mare, che mescolate alla finissima sabbia raccolta dal basso fondale, finiscono dapprima per creare una sorta di avvolgente mantello dal profumo salmastro e dal colore violaceo, poi, infine, come fosse una lieve brezza marina, comincia catarticamente a sgetolare l'epidermide. 
Per certi versi, la dronica onda anomale presente in Kaleidoscope Slow Fuzz, così ripetuta, invasiva e cerebralmente vermicolare, ha ricordato quel martellamento psichico di Observatory proposto qualche anno indietro da The Haxan Cloak, e, dulcis in fundo, la cinafrusaglia metallica (nel senso buono del termine) che ogni tanto squarcia gli affreschi dipinti in quel burrascoso cielo di Another Earth, gli dona una flebile componente post-industriale stile Das Synthetische Mischgewebe.

Doveroso, anzi obbligatorio l'ascolto in cuffia, altrimenti si rischia di perdere le leggiadre note di sottofondo, quelle nascoste dai lunghi soundscapes drone-ambient, che rendono questo un ottimo lavoro, quasi fiabesco ma dal piglio assolutamente nostalgico.



Buon ascolto!

2 luglio 2016

THE VAULT - Transfiguration [Fall Of Nature, 2016]

- Transfiguration -

The Vault è il solo project di Sébastien Martel, attivo da circa dieci anni, ma che ora (pare) abbia terminato l'attività. 
Death-industrial e dark-ambient che si fondono per dare vita a qualcosa di putrescente, oscuro e torbido. 
Morente quanto i rintocchi di campane di Svasti-Ayanam (vedi Peter Andersson aka Raison D'etre) e belligerante come i colpi secchi di mortaio fatti esplodere da Saphi alias Nocturne.

Je vivais tranquille,
quand ils m'ont fait chanceler,
saisi par la nuque,
pour me briser.

Fantastico cd, uscito per l'australiana Fall Of Nature. Consigliato? No, di più.

26 giugno 2016

GIULIO ALDINUCCI & MOON RA - Mutus Liber [No Problema Tapes, 2016]

- Mutus Liber - 

Nel precedente split, o collaborazione che dir si voglia, ovvero E.S.P. con Nicola Corti, la fiorentina Maria Rosa Sarri ci ha brutalmente infastidito (nel senso positivo) attraverso sonorità graffianti, maleodoranti di zolfo e arrugginite come le lamiere di una marcia acciaieria abbandonata: questo è quello che il violaceo condominio ha percepito, abbiate pietà.
 
In Mutus Liber - 50 copie, rilasciate dalla cilena No Problema Tapes, etichetta che coincide con il ritorno per Moon Ra dopo Space Is Still The Place del 2013 ed unico tape che manca per completare la personale collezione - duetta in modo sincrono con il senese Giulio Aldinucci (Dronarivm, Time Released Sound), facendo risultare il sodalizio tutto assai acquoso. Per la precisione sto immaginando il suono che potrebbe avere la corrente elettrica 220v (a livello subatomico) nel passaggio all'interno di contenitori metallici colmi di acqua (appunto). Diciamo una sorta di propagazione elettrofluida che, partendo dal centro, rimbalza dalle pareti e tende poco per volta alla dissolvenza, rilasciando per capillarità, molecole di vapore acqueo in un substrato sabbioso, ma fertile dal punto di vista biologico.
Soundscapes che si possomo assimilare a piatte superfici di morbido fango soggette a fluttuazioni circolari e al tempo stesso abrasive, causa la presenza nell'atmosfera di un forte tasso di salinità e microscopiche particelle di silice sferoidale.
Uno split velenoso come le spine degli scorpioni di mare, provoca allergia cutanea, spasmi muscolari e, in alcuni momenti, perfino schizofrenia, gonfiori e forti dolori addominali che durano per ore intere. Un lavoro, concetto valido per entrambi gli artisti italiani, che attira l'attenzione facendoti innalzare la pinna dorsale (quella che oggi noi esseri umani non abbiamo, ma che probabilmente un tempo assai remoto sì, visto la provenienza evolutiva di ogni specie esistente).

Copertina (sarà per il rosa, che volendo si può interpretare come una sfumatura sbiadita del viola), le tracce Albedo e Vocal Prism, assolutamente sopra le righe: da avere!

5 giugno 2016

DEN ARKAISKA RÖSTEN - O▲ [Beläten, 2015]

- Den Arkaiska Rösten, O▲ -

... da una mia vecchia recensione per la webzine The New Noise.

Il progetto nasce nel 2010, ma è dalla performance live dell’anno dopo – tenuta al Fylkingen – che gli svedesi Per Åhlund and Girilal Baars si manifestano al pubblico con lo pseudonimo Den Arkaiska Rösten (in italiano: “la voce arcaica”).

L’esibizione non è passata inosservata, tanto che il tenebroso Thomas Ekelund (Trepaneringsritualen e titolare della Beläten) acquisisce la registrazione, li inserisce nel proprio catalogo runico e infine pubblica una cassetta dal titolo geometrico: O▲ (cerchio/triangolo). Nella loro proposta sonora, finemente incentrata sulla sacralità della voce e su drone extraterrestri, possiamo trovare elementi di circolarità simbolistica Ouroboros (religione, magia, esoterismo, cropcircle, peyote), ma anche cabalistici Ain Soph (inteso come il nulla senza fine) saturi di invisibile materia oscura, stargate e stati allucinatori da pandorum (la sindrome orbitale disfunzionale). I riferimenti più prossimi – se proprio vogliamo cercarli – sono quegli spostati sacerdoti russi dei Phurpa, magari meno rituali. L’incenso cede il posto alla polvere spaziale e l’infinita luminosità stellare si sostituisce a quelle delle candele accese. La differenza sostanziale però sta nel solo uso dell’elettronica (i Phurpa si servono soprattutto di strumentazione tradizionale proveniente dal Tibet) e nella manipolazione della voce, meno gutturale ma più aliena e haunted. Da tutto ciò ne derivano due tracce dark ambient intense e inquiete, dalle pulsazioni industrial e dalle atmosfere opprimenti e metalliche.

Gli interminabili e mistici ascolti degli incappucciati russi – citando una famosa battuta da un film di Indiana Jones – sono una trasmittente per parlare con Dio. La voce arcaica del duo svedese, oltre che essere meno ostica, invece, è una ricerca cosmica: lancia un messaggio subliminale e spirituale nell’oltreverso alla ricerca di altre forme di vita (si spera più intelligenti), in modo tale che siano gli stessi omini verdi a cercare di stabilire una comunicazione, attraverso una sorta di abduzione psichica. E noi stupidi che mandiamo in orbita immagini e suoni incisi dentro il Voyager Golden Record…

1 maggio 2016

LYMPHA OBSCURA - Ghosts From The Voynich Manuscript [Naked Lunch, 2015]

- Ghosts From The Voynich Manuscript -

Lympha Oscura è il nuovo progetto artistico del duo Dbpit/Xxena e risalente a qualche anno indietro. Per una strana coincidenza Ghosts From The Voynich Manuscript esce quasi in simultanea con quei racconti malinconici presenti in quel gioiellino di White Stories Of Black Whales. Per chi non conosce ancora o non ha mai visto puntate di History Channel o di Focus, il Monoscritto Voynich è quel libro del 1400 scritto con un sistema di scrittura che a tutt'oggi non è stato ancora decifrato: mistero, fascino o grossolana burla? Poco importa, l’uomo ha comunque sempre il desiderio di credere in qualcosa di soprannaturale, di ricercare e sprofondare in nerissimi abissi, quindi ben vangano studi come questo, peraltro ben confezionati, quindi rilasciare qualcosa che non sia soltanto cd, vinile o tape pare non basti più al duo romano, infatti, dopo il precedente color-box, qui riescono a mescolare insieme le arti della musica, della poesia e fotografia. 

Le musiche composte abilmente come sempre da Dbpit e Xxena si intersecano con la poesia dei due testi di Fabio Magnasciutti (compresa voce) e vengono immortalate nella memoria da cornici fotografiche dal piglio abbandono/decadente di Daniele Pinti, il tutto confezionato nel meraviglioso artwork in formato A5, edito dalla friulana Naked Lunch: da segnalare i video che la stessa Arianna Degni ha ricavato per l’occasione da alcune loro performance live (vedi Londra). E se nel precedente avevano affrontato una dark-ambient sfumata con tinte lacrimevoli, qui il suono si tramuta in un post-industrial di carattere rituale (Tamarea Galis), e in alcuni casi addirittura inquietante come l’evolversi di una imminente pestilenza mondiale (Cratea Albha). Il lavoro è articolato ovviamente su geometrie spettrali e poetiche quasi rinascimentali (mi riferisco all'osservare le immagini e leggere i testi mentre lo si ascolta), ma è infastidito e graffiato (nel senso buono) da rumorose interferenze metalliche che rimandano a complessi siderurgici (Salagus Anthaus) e inferni-noise danteschi (Jughea Martis). Personalmente, in alcuni momenti, quelli meno invasivi cerebralmente, ha ricordato quel concept di IHSV (2013) e nella fattispecie la traccia Index Librorum Proibithorum, ovvero quella sorta di poetica industriale in cui si scandiscono con fare tenebroso alcuni nomi eccellenti di geni del passato - indifferentemente dall’arte che rappresentano - e che sfumano in una corrosiva nebbia salina. 

Un ottimo lavoro a livello sonoro, 
ma anche uno di quelli dal bell'aspetto visivo: affrettavi!

28 aprile 2016

TSANTSA - Tsantsa [Zeon Light, 2016]

- Tsantsa -
 
"Your beauty drowns me, drowns the core of me,
when your beauty burns me I dissolve as I never dissolved before man. 
From all men, I was different, and myself, but I see in you that part of me which is you. I feel you in me, I feel my own voice becoming heavier, 
as if i were drinking you in every delicate tread of resemblance being soldered by fire, 
and one no longer detects the fissure"

Questo è quello che c'è scritto all'interno dell'artwork... carino no? Due tracce lunghissime di circa trenta minuti, incessanti rituali con un certo retrogusto orientale, abissi profondi, noise inquietante e droni glitch. 
Cassettina meravigliosa: anche questa volta la svedese Zeon Light ha fatto centro, nonostante non ho ancora capito chi ci sia dietro questo progetto.

31 marzo 2016

ARTISTI VARI - Kommando Stasi [Killing Fields, 2014]

- Kommando Stasi -
 
Prima che qualcuno mi faccia diventare una saponetta per fare il bucato a mano, questa notte mi sono scervellato per cercare di carpire chi ci fosse dietro quel ormai famoso cdr anonimo che mi è pervenuto via posta, al quale ho dato momentaneamente il nome di Cianciulli Srl. Una soluzione è che dietro ci sia uno degli artisti che sono entrati nella compilation "Kommando Stasi", raccolta che mi piacque molto (Terreni K, SKR, E Aktion, Cropcircle, Deviated Sister Tv and more) sulla quale circa due anni fa scrissi perfino un articolo per OndaRock, e che vi posto appena dopo. Resto comunque ancora su come sia entrato in possesso del mio indirizzo...

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L'ottima etichetta italiana Creative Fields propone a tutti i suoi fedeli ascoltatori che nutrono perversi interessi per i delitti più brutali della storia questa fantastica e rumorosa raccolta. “Kommando Stasi” – prima uscita della collana Killer - racchiude dodici piccole gemme che vanno dal death-industrial al drone-noise più estremo, tutte realizzate per l’occasione da artisti italiani emergenti e sconosciuti al grande pubblico, ma abbastanza noti da chi segue quest’oscuro sottobosco musicale. La compilation prova a raccontare in chiave noise i quindici minuti (9:15/9:30) in cui probabilmente venne eseguito il brutale omicidio di Chiara Poggi a Garlasco, la mattina del 13 agosto 2007, e le discusse e discutibili notizie di cronaca che ne seguirono. Sappiamo che fu arrestato e processato il fidanzato Alberto Stasi, tuttora però il colpevole, tra i molti depistaggi e alcuni indizi mai seguiti, non è stato ancora trovato; se esistesse ancora il famoso servizio segreto (Stasi) dell’ex-Repubblica democratica tedesca (Ddr), sicuramente, attraverso le loro torture e interrogatori, avremmo conosciuto già il giorno dopo il nome dell’esecutore materiale. 

Un lungo e morente drone, sfumando tra tetre atmosfere dark-ambient, annuncia il tragico evento, provocando una sorta di collasso cardio-circolatorio, quasi a rivivere gli ultimi istanti di vita della povera Chiara (“No Mercy”). Le muraglie noise di “Cia Vs Stasi” mordono, frantumano e poi sciolgono l’asfalto stradale di Via Pascoli; con “Kappa Gemini” sembra di strisciare fra i piatti di frazionamento di una torre cracking all’interno di una raffineria petrolchimica, in un profondo stato d’allucinazione perversa. L’immensa e possente traccia death-industrial dei Deviated Sister Tv partorisce l’avviso di garanzia, scandito dalla marcia industriale di Cropcircle che, aprendo il mediatico processo penale giudicato da una moderna Santa Inquisizione, crea un mesto e inquietante sottofondo sonoro, quasi a ricordare che esiste pur sempre un giudizio divino o soprannaturale. Intanto la carta stampata si sbizzarrisce pubblicando false frequenze elettriche modulate che, intersecandosi con le calde e tristi note di un pianoforte, reagiscono chimicamente generando malsani suoni come se provenissero da un theremin prossimo all’esplosione (vedi My Right Of Frost); e successivamente attraverso gli archi rampanti harsh-noise da cattedrale gotica di Katyn + E-Aktion e i riflessi ambient dronici al chiaroscuro di Antimediascrambler. 

“Emo StaSi” fornisce nuove indiscrezioni e indizi, codificate però da un incomprensibile linguaggio Morse 3.0: tocca solo decifrarle. I colpevolisti già emettono i propri verdetti, rappresentati in quest’occasione dalla marziale, corrosiva, graffiante e infernale “6 luglio 1983” e dall’alienante traccia di FAZN (Frazione Armata della Zona Neuronale). Terreni K, infine, nella traccia meno noise e industrial del disco, analizza e sonda la psiche e il subconscio umano avvalendosi del decreto Habeas Corpus del 1679, ribadendo che nessun uomo può essere imprigionato se il giudice competente non lo considera colpevole del reato per cui è stato fermato. Aspettiamo ora con molta ansia di conoscere il nome dell’omicida cui sarà dedicata la prossima uscita killer.


Buona lettura et... inquieto ascolto!

30 marzo 2016

CIANCIULLI S.r.l. - Untitled [Autoproduzione, 2016]

- Cianciulli S.r.l. -

Lo so, vistate chiedendo perchè Cianciulli Srl. Beh, un nome momentaneamente dovevo pur dare a questo cdr. Non è vero, non è frutto della mia fantasia (che è molta e disturbata), bensì è il nome del mittente che ho letto sulla busta in cui all'interno si trovava questo oggetto.
Lì per lì non vi ho fatto molto caso, poi, leggendo la via (Sapone) e la città di spedizione (Correggio) ho realizzato che era tutta una invenzione. Mi sono dunque affidato al bollo postale, che citava un paesino del bolognese.
Però quel nome l'avevo già letto o sentito da qualche parte... Cianciulli, Cianciulli, Cianciulli... vabbè, io sono anziano e la memoria è ormai andata, quindi ho adoperato google, et voilà, ecco: trattasi della serial killer Leonarda Cianciulli, che (pare) dopo aver ucciso le sue vittime, li sciogliesse nella soda caustica per poi farci del sapone: fantastico! 
Vabbè, io vi lascio il link dove potete scaricare le tre racce presenti all'interno, senza nome, come peraltro l'autore. Vi posso soltanto dire che non sono male, diciamo che sono in tema con fatti di cronaca nera, e perfettamente in tema con le tracce ematiche (vernice? ancora non ne sono sicuro) che ricoprono il cdr.
 Amico mio: chiunque tu sia, grazie infinite per l'omaggio, fatti però riconoscere, andresti lodato solo per questa tua insana malattia.


Buon sanguinolento ascolto!

27 marzo 2016

BLEEDING LIKE MINE [Palace Of Worms, 1997,2001]

- Bleeding Like Mine -

Non ho più notizie di questo duo (Curt e Holly Hemmer) americano da molti, anzi, troppi anni. Torniamo indietro di quasi venti anni, stiamo parlando di un genere che nei primi anni del nuovo millennio mi prese parecchio, e del quale ogni tanto ci ritorno con estremo piacere, probabilmente perchè la tristezza e la solitudine devono essere ben salde nel mio Dna: et vabbè, pazienza.
Comunque questo genere musicale è quel modern-classical strutturato e mescolato con malinconiche melodie darkwave ed ethereal.
Io vi lascio i link dove potete scaricare gli unici due lavori prodotti e pubblicati dalla nostrana etichetta Palace Of Worms: In The Eyes Of Lovelost (1997) e Never Again Will I Dream... (2001).



Buon ascolto!

16 marzo 2016

IOIOI - Bright Future!! [Ebria, 2005]

- Cristiana F aka IoIoI -

Sì, oggni tanto sorridiamo anche noi. Oggi, 16 marzo 2016, a Torino sta nevicando a mò di tormenta, non lo ha fatto per tutto l'inverno e lo fa (quasi) a cavallo della imminente primavera. Vabbè, si sa, Torino capitale è una città strana, fatta di gente strana e malata, insomma: che ha gravi malattie.
E quindi, con un meteo così bizzarro, ci deve stare un personaggio e un disco altrettanto isterico, caotico, fanciullesco, tira fuori gli artigli come la mia micia Lady quando vuole giocare, e a tratti è perfino schizofrenico (nel senso buono neh). Già, perchè è proprio col termine weird che riesco solo ad inquadrare la nostra Cristiana F. aka IoIoI.

- Bright Future -

Comunque, con questo album siamo (quasi) agli esordi, ma la ciliegina o sorpresa sta all'interno del booklet, ovvero questa frase:

"Continuavo a farmi domande sul mio futuro, cosa fare ora, dove andare, aspettare o procedere? Come nel film di Kiyoshi Kurosawa, l'alternativa al claustrofobico ultimatum fra ike (andare) to matte (aspettare) sta nel sapere ascoltare i germi del futuro che si protendono dal presente e procedere nell'attesa... come il corpo di una medusa, lasciarsi trascinare dalla corrente senza resistenza e senza rassegnazione, proliferare in territori proibiti senza alcun pregiudizio. Così il movimento viene dall'immobilità, la forma dall'informe, il futuro dal presente, l'avanzare dall'aspettare."

Mi ci rivedo, in particolare nell'ultima frase. Nel ricordarvi che la musica è una arte, io vi lascio il file, con la speranza però che un domani corriate all'acquisto.


Buon ascolto...

15 marzo 2016

SWITCH-OFF - Inconcludenzia [Bosco, Into My Bed, Setola Di Maiale, 2006]

- Inconcludenzia - 

Switch-Off è un collettivo torinese, probabilmente improvvisato negli ultimi anni del millennio scorsco e che (al momento) pare non si sia più ritrovato. Di questa associazione massonica sabauda è composta da Daniele Brusaschetto e Maurizio Suppo (gli unici due che conosco, almeno di nome) e da Daniele Pagliero, Mirco Rizzi, Mauro Aloisio e Pierluigi Brusaschetto, che però (perdonatemi) non riesco a collegarli ad altre band.

"Di tutto ciò che non è mai nato, nulla si può dire: inconcludenzia"

oppure

"Di ciò che non si può dire, non si è mai detto abbastanza: inconcludenzia"

Questo sottolinea il cdr, HgM (ovvero Ho.Gravi.Malattie e che sarei io) dice che è un lavoro: tribale, percussivo, metallico e con tanto caos controllato, mi ricorda qualcosa di vecchio dei Sikhara.

Qui sotto potete ascoltarlo dal web:


Qui, invece, potete scaricarlo, che ne so, mettete che siete in vacanza e vi trovate in un luogo dove non esiste nessuna connessione col mondo 
(se esiste, please, consigliatemelo, che ci vado subito).


Buon ascolto!

13 marzo 2016

DAVID MARANHA + Z'EV - Obsidiana [Sonoris, 2012]

- Obsidiana -

Dopo l'album del 2007, il musicista sperimentale portoghese David Maranha (Osso Exotico) e la leggenda delle percussioni industriali Z'ev tornano nuovamente insieme per una nuova collaborazione. "Obsidiana" è il risultato di questo nuovo progetto musicale: in pratica la registrazione di una performance dal vivo del 2010 che i due artisti tennero nella città di Lisbona.

La copertina che vagamente ricorda una macrografia di grafite fatta al microscopio, i suoni industriali dell'album nonché il titolo stesso del disco - chiaramente riferito all'ossidiana, il più comune dei vetri vulcanici - lasciano trapelare basilari informazioni: ovvero un album fragile e tagliente ma al tempo stesso refrattario e oscuro come il carbone.
L'unica traccia live di trentacinque minuti è un'unione di vari rumori, che derivano dalle molteplici peculiarità che contraddistinguono i due artisti.
Il suono dilatato, clericale, gotico e spirituale dell'organo di David Maranha s'incastra con i rumori metallici, le maracas e le tribali percussioni di Z'ev. Quest'affascinante live industrial/noise genera inconsapevolmente assordanti e magnetiche frequenze sonore sinusoidali. Il valore massimo della semionda negativa si raggiunge attraverso gli sferragliamenti da fonderia, che riportano immediatamente all'anziano guru delle lamiere Robert Rutman.
L'apice della semionda positiva, invece, con sonorità da sudicia officina meccanica e ciclici anarchici martellamenti.
Le note acuminate, gli sferzanti e mai caotici ritmi di "Obsidiana" rimbombano e rimbalzano fra le pareti della scatola cranica, come se all'interno una mini-sega a nastro con lame da taglio per acciai inconel al nichel-cromo si appresta a tagliare in sottili fette quella zona del cervello che codifica i suoni musicali in gradevoli emozioni.

"Obsidiana" è un disco ben riuscito e ottimamente registrato, unica pecca il minutaggio: troppo breve. È un album che piacerà sicuramente a tutti quei milioni - meglio se diciamo decine - d'ascoltatori che amano e adorano le cupe tonalità post industriali dei Das Synthetische Mischgewebe, le coltellate inox dei Last Few Days, oppure i virulenti noise ritmici di Karsten Rodemann; l'artista tedesco tristemente conosciuto soprattutto con il soprannome di FâLX çèrêbRi.


Recensione tratta da un mio vecchio scritto per OndaRock. 
Speriamo sia una buona lettura e... un buon ascolto!

12 marzo 2016

QUINTO LIVELLO SOTTERRANEO & USING A COLD KNIFE [Scorze, 2013]

  
Circa tre anni fa scrissi questa recensione per OndaRock. Lo split mi piacque molto e vi ricordo che (forse) ci sono ancora delle copie disponibile.

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“La ruggine è l’infermità mentale del ferro”.
- Ospedale Dei Suoni -

Una sola definizione come suggerimento per quest’album: il malfunzionamento del sistema nervoso centrale. Q.L.S. (Quinto Livello Sotterraneo) e U.C.K. (Using A Cold Knife) sono due gruppi dell’area romana; durarono il tempo necessario per pubblicare – nel 2009 – pochi brani, dimostrando tutte le loro grandi potenzialità.
Riprese e rivalutate - da colui che oggi conosciamo come Autocancrena, ma che un tempo era il personaggio oscuro che si nascondeva dietro U.C.K. - alcune canzoni finiscono per comporre questo splendido “Split” in edizione ultra limitata (30 copie).

È un vero peccato che queste band siano sparite nel giro di un solo anno, ma d’altronde queste tipologie di sonorità, che intrecciano l’industrial col noise, hanno vissuto sempre nell’oscurità più totale. Entrambe le band hanno attitudini post-punk stile Bauhaus più malati (“Double Dare”), e nelle sei tracce corrosive e distorte c’è del marcio e putrido.
È industrial a tutti gli effetti. C’è acciaieria pesante, stridore di ferro, odore di ruggine e psicofrastuono (“Piombo Fuso”); e se nei Q.L.S. a tratti sembra di ascoltare gli industrialismi delle Officine Schwartz privati della loro parte tribale, o gli strazianti deliri dei torinesi CCC CNC NCN, Using A Cold Knife, invece, accentuando la componente metallico-industriale, vira verso cupe barriere sonore al limite del noise-rock più estremo, alla Helmet (“I Am The Crowd”, “Head Of The Vermin”).

C’è alienazione e malessere sociale, parassiti e psichiatria. Ci sono le mole abrasive degli Einstürzende Neubauten, le dondolanti lamiere dei Die Tödliche Doris, e le affilate lame dei Last Few Days.
“Il tuo volto nella putrefazione, nel velluto trovo la tua emozione, siamo scivolati nel quinto livello sotterraneo”: ultima fermata dell’ascensore per l’inferno. Un disco borderline, retrò ma attuale.


6 marzo 2016

GAKIDO 餓鬼道 - Crow [Pour Amorphous, 2015]

- Crow -

Collettivo giapponese davvero strambo e malato. Loro sono i Gakido, da non confondere con l'omonima band nipponica che fa visual kei, infatti, è più usuale trovarli sotto il nome composto dai tre ideogrammi, ovvero 餓鬼道.
Ormai questo blog va avanti davvero poco, con un post quasi al mese, però vi avevo promesso nel post precedente che avrei caricato un loro album.
Ho preferito l'ultimo "Crow", perchè lo trovo ben fatto, perchè mi ha inquietato parecchio (e quando per me in un disco c'è inquietiduine è sempre una buona cosa) ma soprattutto perchè è quello che, secondo me, musicalmente si avvicina al video live, quindi: estratti noise e catene industrial macchiate di sangue, malinconia e alcune sfumature di sottofondo (quasi) di gothic-noir.
Vi lascio il link, fatene un buon uso e spero vi piaccia: buon ascolto!